La mia Certosa

di Franco Maurici – lettera alla Direttrice de La Provincia Pavesepubblicata Sabato 30 Novembre in risposta all’articolo di Giorgio Boatti “Tra business plan e genius loci: quale idea di Certosa portare nel futuro?

La mia Certosa non è il “sogno algido di vertiginosa superbia” evocato da Boatti.

Mio padre quando ero un bambino, tanti anni fa, mi portava spesso alla Certosa in corriera. Scendevamo alle porte del paese; poi percorrevamo il viale mano nella mano. Gli alberi enormi mi incutevano un certo timore ma, passato l’atrio della Certosa, appena mi appariva la facciata policroma, provavo una gioia intensa. Poi nella chiesa mi incantava il cielo stellato del soffitto; nei chiostri il rosso sbiadito del cotto; nella cella dei monaci la ruota e il giardino fiorito. E infine che meraviglia il rosso, il giallo e il verde delle bottiglie di Gra-Car nel locale occupato dal cavalier Maddalena.

L’articolo di Boatti rattrista perché è privo di pietà storica. Senza pietà non si comprendono generazioni che si allontanano sempre più nel tempo: signori, architetti, muratori, artigiani, operai che svolgevano un lavoro non alienato e nel “mattone” cercavano di esprimere il sogno di una vita migliore, di una bellezza da tramandare. La crudeltà, i vizi, le ambizioni e le vessazioni dei signori e dei ceti dominanti, tutto ciò che è soggettivo, sbiadiscono nel tempo e rimangono solo le loro opere.

E poi non è vero che la Certosa è “la sintesi dell’altera contrapposizione dei Signori del Biscione alla città e al mondo circostante”. I Visconti amavano Pavia più di Milano, la città degli intrighi, del duro dominio, dei veleni. A Pavia realizzarono un grandioso progetto urbanistico inconcepibile senza affetto per il territorio: il ponte coperto; Strada Nuova liberata dai fabbricati che la intersecavano; l’Università a San Tommaso; Il Castello, fortezza ma anche biblioteca frequentata dal Petrarca e da qui a ventaglio il Parco Visconteo agricolo – forestale: insomma la prima città parco d’Europa. E più oltre, rasente ai confini settentrionali del Parco, la Certosa fu per lungo tempo azienda agricola innovativa, cantiere edile, stamperia, laboratorio artigianale, centro spirituale e culturale. A questo complesso polifunzionale del passato occorre ispirarsi se si vuole “portare nel futuro” la nostra Certosa.

Per i signori di Milano un po’ di pietà.
Pietà per Gian Galeazzo Visconti e per il suo sogno di diventare re d’Italia, un regno lombardo aperto al nuovo a differenza del regno sabaudo ottuso e codino.
Pietà soprattutto per Ludovico il Moro, nonostante sia stato la causa del dominio straniero sull’Italia per oltre tre secoli. Egli fece di Milano una delle capitali culturali d’Italia, ospitandovi tra l’altro Leonardo da Vinci e il Bramante, ai quali concesse libertà di ricerca e di relazioni inammissibile in altri stati.
Ludovico come Mussolini fu catturato con addosso una divisa straniera: quella Svizzera.
Ma il Guicciardini, di lui contemporaneo e aspro critico, dettò un pietoso epitaffio che non dovremmo mai dimenticare: “stette circa dieci anni, e insino alla fine della vita, prigione: rinchiudendosi in una angusta carcere i pensieri e l’ambizione di colui che prima appena capivano i termini di tutta Italia … tanto è varia e miserabile la sorte umana, e tanto incerte a ognuno ne’ tempi futuri le proprie condizioni.”

Franco Maurici


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Commenti

Una risposta a “La mia Certosa”

  1. Fabrizio Carena

    Sono rimasto particolarmente colpito dal racconto di Maurici. Bella l’immagine del padre che conduce per mano il figlioletto per il viale alberato. Ricca di umanità e tenerezza. Le suggestioni che appaiono all’occhio del bambino, la facciata, il cielo stellato, la ruota del cibo, le bottiglie colorate. La meraviglia e la magia di un luogo unico da “congelare” intatto perché possano viverla anche i nostri bambini e poi, ancora i loro figli quando, adulti, li condurranno per mano a loro volta, a visitare una terra dove il tempo si è fermato, raccontando di aver fatto la stessa cosa con noi. Grazie

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